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giu 10,2015

Internet of Things: un ritorno al passato?

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Già da diversi anni stiamo godendo dell’avvento della tecnologia mobile: gli smartphone e le app ci piacciono, ci divertono, ci semplificano la vita, e non ci sorprendono più. Sono diventate vere e proprie commodity indispensabili, e non più un semplice trend sulla bocca di tutti. Oggi a generare interesse sono più le conseguenze e trasformazioni che ne derivano, dal Mobilegeddon alla Mobile Transformation.

 

Il nostro sguardo oggi è rivolto alla realtà virtuale, ai droni e soprattutto alla società connessa dalla Internet of Things.

Questo perché siamo al centro di una rivoluzione. Ma tra le tante implicazioni sulle quali si riflette, probabilmente ne stiamo dimenticando una: l’interessante prospettiva di un futuro passato.

 

Internet of Things

 

 

In effetti, neanche io ci avevo mai riflettuto.

Si parla di privacy, di Big Data e di Smart Cities, oppure si catastrofizza su conseguenze per l’essere umano in stile Ultron e sue evoluzioni non così simpatiche.

Ma analizzando l’IoE da un punto di vista sociale e fisico, viene in mente un processo inverso, la creazione di un passato ipertecnologico.

 

Pensateci un attimo.

Il mobile ha riversato la connettività direttamente sulle persone, creando quel fenomeno che Mark Pesce ha definito la direct human addressability. È il tipo di cambiamento qualitativo che porta ad una riorganizzazione della cultura.

Gli smartphone e poi le app hanno reso il mondo pocket-sized e l’informazione racchiusa in una mano.

O forse è meglio parlare di una disseminazione della conoscenza, perché è l’informazione a trovare noi e non più il contrario.

 

Arriviamo al punto.

Un mondo dove sono le cose a venire da noi richiede un’infrastruttura fisica molto diversa.

Fino ad oggi, la rete di connessioni tra le persone, i beni, i servizi e la cultura aveva bisogno di nodi fisici, nei quali venivano accumulate le informazioni necessarie.

Negozi, ospedali, biblioteche, uffici e via dicendo.

I luoghi del consumo in fondo sono dei grossi schedari di informazioni.

Oggi invece basta aprire l’app di Amazon, scegliere i vestiti, i libri o la musica che si desiderano, pagarli senza maneggiare un soldo e in 24 ore un drone li lascia fuori dalla nostra porta. Nel giro di qualche anno poi, stamperemo direttamente la cena che vogliamo o la sedia che ci piace con la nostra stampante 3D.

 

L’IoT, il mobile e le nuove tecnologie stanno abilitando anche altre nuove attività quotidiane: la salute, il lavoro, lo shopping e lo studio così come il tempo libero, tutto all’interno delle nostre abitazioni.

A livello di tempo, di risorse e di accessibilità, il mercato connesso è sicuramente vantaggioso: oggi si parla di smart home, hybrid shopping, cloud working e integrated transport.

Oggi, ad esempio, tutti i documenti di lavoro possono arrivare ed essere ricondivisi direttamente tramite applicazione mobile. Il medico può monitorare lo stato di salute del paziente da remoto con iHealth e inviargli a casa la terapia necessaria.

Se avete finito il latte alle 3 di notte, il supermercato virtuale che preferite è sicuramente aperto e se volete imparare a programmare un’applicazione, potete frequentare un corso su Coursera. Oculus e la realtà virtuale abiliteranno nel giro di poco un entertainment aumentato sul divano di casa.

 

Insomma, beni e servizi virtuali saranno sempre a portata di mano, seguendo percorsi e tempistiche ben diverse da quelle attuali.

Quindi tutte le infrastrutture fisiche di cui parlavamo prima, quei magazzini di informazioni che facevano da nodo tra noi e ciò di cui avevamo bisogno, diventeranno obsolete.

Nasceranno nuovi lavori in linea con le nuove pratiche e strutture della società. Acquisteranno importanza azioni e decisioni globali incentrate sul concetto di infrastruttura dell’informazione, in primis l’accessibilità mondiale alla banda larga.

L’intera urbanistica della città potrebbe modificarsi, smantellando edifici, uffici e centri commerciali ormai inutilizzati. O riconvertendoli a nuovi usi. La metropoli potrebbe trasformarsi in tanti piccoli nuclei residenziali, tornando ad una socialità tra spazi verdi e passeggiate. Insomma, l’architettura urbana subirà un profondo processo di adattamento alla struttura sociale che si configurerà grazie all’Internet of Everything, probabilmente molto simile a quella dei villaggi e delle comunità del passato.

 

Architettura del futuro

 

Già McLuhan aveva notato come le nuove tecnologie ci stessero conducendo ad una ritribalizzazione, nella quale i membri sono costantemente connessi. Sostiene infatti che gli strumenti che noi costruiamo vanno poi a ricostruire e ridefinire noi. I comportamenti, le credenze e le relazioni si riorganizzano intorno all’ininterrotta connettività.

“A tribe is a group of people connected to one another, connected to a leader, and connected to an idea. For millions of years, human beings have been part of one tribe or another. A group needs only two things to be a tribe: a shared interest and a way to communicate.”
― Seth Godin

Le nuove tecnologie hanno l’abilità di ritribalizzare, cioè ricreare l’unità sensoriale caratteristica delle società tribali.

Secondo il teorico dei media, a partire dalla televisione, le nuove tecnologie hanno trasceso il tempo e lo spazio creando l’ormai noto villaggio globale.

Ad oggi è in atto un’evoluzione ulteriore, che trascende la corporeità e le funzioni che gli oggetti hanno sempre avuto. Crea una nuova quotidianità. Un mondo nuovo che come un flusso circolare stiamo ricreando secondo ciò che conosciamo, secondo strutture assimilate dal passato.

 

Perché non essere preoccupati? Perché gli esseri umani vivono di relazione e condivisione. E le nuove tecnologie ne sono la prova. Se il futuro prospetta delle comunità verticali è perché possiamo raggiungere chiunque condivida le nostre passioni. Scegliamo tante piccole community specifiche, ma più coese, torniamo alle tribù, ma sempre socialmente connesse.

Cosa ci preoccupa del vivere in piccoli paesini intelligenti, se saranno ubiqui nel mondo iperconnesso?

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